Parte quarta.

Capitolo 15

 

La Regina delle Bestie 36 a.C. - 33 a.C.

 

Alle none di gennaio, nonostante la giornata fosse sferzata da un vento insolitamente pungente, Cleopatra e Cesarione fecero il loro ingresso in Antiochia. La regina aveva il capo ornato dalla Doppia Corona e viaggiava a bordo della portantina reale, sulla quale stava adagiata come la bambola di Fonteio, con il viso truccato e il corpo avvolto in un raffinato abito di lino plissettato. Il collo, le braccia, le spalle, la vita e i piedi rilucevano d’oro e di gioielli. Cesarione, il capo cinto dalla versione militare della Doppia Corona, montava un focoso cavallo dal pelo rosso, il colore di Montu, il dio della guerra. Anche il suo volto era dipinto di rosso e indossava l’armatura faraonica egiziana a piastre di lino e oro. Tra le tuniche color porpora e le armature argentee della Guardia Reale, lo sfolgorìo delle bardature dei cavalli su cui viaggiavano funzionari e burocrati, e la portantina a fianco della quale cavalcava Cesarione, si poteva ben dire che Antiochia non avesse più assistito a una simile parata dai tempi in cui Tigrane era stato re di Siria.

Antonio non era rimasto con le mani in mano per un buon motivo: aveva apprezzato la verità della constatazione di Fonteio sul fatto che il palazzo del governatore era una sorta di caravanserraglio; pertanto aveva fatto radere al suolo una serie di abitazioni adiacenti ed edificato una dépendance degna di ospitare la regina d’Egitto.

«Non è certo un palazzo simile a quelli di Alessandria» disse scortando Cleopatra e il figlio intorno all’edificio, «ma è decisamente molto più confortevole della vecchia residenza».

Cesarione era entusiasta, il suo unico rammarico era di essere cresciuto troppo perché Antonio lo potesse portare ancora a cavalluccio. Sforzandosi a non lasciarsi prendere dall’impeto di saltellare qua e là, camminava in modo solenne cercando di darsi un contegno regale. Non gli era difficile, così imbellettato in viso dal trucco che tanto detestava. «Spero che ci sia un bagno» disse.

«È pronto e ti aspetta, giovane Cesare» rispose Antonio con una smorfia.

I tre si ritrovarono insieme solo a pomeriggio inoltrato, quando Antonio fece servire la cena in un triclinio talmente nuovo da odorare ancora di stucco e dei vari pigmenti usati per adornarne le scarne pareti con affreschi di Alessandro Magno ritratto insieme ai suoi fedelissimi, tutti montati su cavalli al trotto. Dato che faceva troppo freddo per aprire le persiane, il cattivo odore dell’ambiente era in parte mitigato dal profumo d’incenso che ardeva nella stanza. Cleopatra era troppo educata e distaccata per fare commenti ma Cesarione non provava alcun rimorso a manifestare il proprio disappunto.

«C’è puzza qui dentro» disse, aggrappandosi a un giaciglio.

«Se non è sopportabile, possiamo rifugiarci nel vecchio palazzo.» «No, tra poco non me ne accorgerò più, e i fumi non saranno più velenosi.» Cesarione ridacchiò. «Catullo Cesare si suicidò chiudendosi in una stanza stuccata di fresco con una dozzina di bracieri e tutti gli spiragli occlusi per impedire l’ingresso dell’aria dall’esterno. Era cugino primo del mio bisnonno.»

«Hai studiato a fondo la storia di Roma.» «Certamente.» «E la storia egiziana?» «Anche, a partire dalle trascrizioni orali, prima dei geroglifici.» «Il suo tutore è Cha’em» disse Cleopatra, intervenendo per la prima volta.

«Cesarione sarà il re meglio istruito di tutti i tempi.» Questo scambio dettò il tenore della cena; Cesarione parlava incessantemente, e sua madre di tanto in tanto interloquiva con un’osservazione casuale per verificare una certa affermazione del figlio. Antonio giaceva su un divanetto fingendo di ascoltare, quando non era impegnato a rispondere a una delle domande di Cesarione.

Sebbene fosse affezionato a quel ragazzo, si accorse che Fonteio aveva visto giusto: Cleopatra non aveva saputo comunicare a Cesarione un senso reale dei limiti del figlio, quindi egli si sentiva abbastanza sicuro di sé per partecipare a tutte le conversazioni come se fosse un adulto. Ciò sarebbe stato ammissibile, se non che Cesarione aveva l’abitudine di dare consigli non richiesti. Suo padre avrebbe saputo come porre un limite a tale comportamento. Antonio ricordava benissimo la condotta che doveva tenere quando aveva l’età di Cesarione! Cleopatra, al contrario, era una madre ciecamente amorevole verso un figlio dal carattere arrogante e dotato di una straordinaria forza di volontà. Nulla di buono in ciò.

Infine, quando ebbero terminato le prelibatezze della cena, Antonio agì. «Ora basta, giovane Cesarione» disse in tono brusco, «voglio parlare con tua madre in privato.» Il ragazzo si adombrò, aprì la bocca per protestare, ma poi colse lo scintillio deciso negli occhi di Antonio. La sua resistenza crollò come una vescica forata. Un’alzata di spalle di rassegnazione e se ne andò.

«Come ci sei riuscito?» chiese Cleopatra, sollevata.

«Ho parlato e mi sono fatto vedere come un padre. Sei troppo tollerante con il ragazzo, Cleopatra, e non te ne sarà mai riconoscente in seguito.» Lei non rispose, impegnata com’era a sondare questo Marco Antonio così speciale.

Non sembrava che invecchiasse come tutti gli uomini, né mostrava alcun segno esteriore di vita dissoluta. Il ventre era piatto, i muscoli delle braccia al di sopra dei gomiti non tradivano indizi dell’afflosciamento tipico della mezza età e i capelli erano sempre biondo rame, senza traccia di grigiore. Gli unici cambiamenti si vedevano nei suoi occhi: gli occhi di un uomo preoccupato. Ma perché era preoccupato? Ci sarebbe voluto tempo per scoprirlo.

È forse colpa di Ottaviano? Sin da Filippi ha dovuto affrontare Ottaviano in una guerra che non è una guerra vera e propria. Piuttosto, un duello di abilità e volontà, combattuta senza estrarre una spada o sferrare un colpo. Aveva capito che Sesto Pompeo era la sua arma migliore, ma quando l’occasione perfetta era giunta per unirsi a Sesto insieme ai suoi marescialli Pollione e Ventidio, lui non l’aveva colta. In quel momento avrebbe potuto disfarsi di Ottaviano. Ora non sarebbe riuscito, e iniziava a capirlo adesso. Tutte le volte che pensava esistesse una possibilità di distruggere Ottaviano, egli si attardava in Occidente. Il fatto che ora lui si trova qui in Antiochia rivela che ha rinunciato alla lotta. Fonteio se ne era accorto, ma come?

Forse Antonio confidava in lui?

«Mi sei mancata» disse lui improvvisamente.

«Davvero?» chiese lei in tono casuale, come se non fosse interessata.

«Sì, e sempre più. Curioso, ho sempre pensato che la mancanza di una persona scemasse con il passare del tempo, ma il mio desiderio di rivederti è sempre più forte.

Non avrei potuto aspettare ancora a lungo prima che ci rivedessimo.» «Come sta tua moglie?» Una tattica femminile.

«Ottavia? Dolce, come sempre. La persona più adorabile.» «Non dovresti parlare così di una donna a un’altra donna.» «Perché no? Da quando Marco Antonio apprezza in una donna la virtù, la bontà o la gentilezza? Io… la compatisco.» «Ciò significa che tu pensi che lei ti ami.» «Non ne ho alcun dubbio. Non passa giorno senza che mi dica che mi ama, per lettera nel caso non stiamo insieme. Ho un casellario pieno delle sue lettere, qui ad Antiochia.» Il suo viso assunse un’espressione grottesca. «Mi racconta come stanno i nostri figli, cosa sta facendo mio fratello Ottaviano, almeno per quanto ne sappia lei, e qualsiasi altro fatto che pensa io trovi divertente. Ma non accenna mai a Livia Drusilla. Non approva l’atteggiamento della moglie di Ottaviano verso la figlia di lui da parte di Scribonia.» «Livia Drusilla ha avuto figli? Non ne ho mai sentito parlare.» «No. Sterile come il deserto libico.» «Allora, forse la colpa è di Ottaviano.» «Non m’importa affatto di chi sia la colpa!» scattò Antonio.

«Dovrebbe importarti, Antonio.» Per tutta risposta si mosse verso il suo giaciglio, attirandola a sé. «Voglio fare l’amore con te.» Ah, Cleopatra aveva dimenticato il suo odore, e come riusciva a eccitarla! Pulito, baciato dal sole, privo del minimo sapore orientale. In fondo, continuava a mangiare il cibo della sua gente e non era rimasto succube dei cardamomo e cinnamomo preferiti dai popoli orientali, quindi dalla sua pelle non traspiravano gli oli residui di tali prodotti.

Guardandosi attorno capì che i servitori se n’erano andati, e che a nessuno, persino Cesarione, sarebbe stato permesso entrare nella stanza. La mano di lei coprì il dorso di quella di lui e la portò verso il seno, ancora più florido dopo la nascita dei gemelli.

«Anche tu mi sei mancato» mentì lei, mentre sentiva sbocciare l’eccitazione e pervadere tutto il suo corpo. Certo, Antonio l’aveva soddisfatta come amante, e Cesarione avrebbe tratto vantaggio da un secondo fratello. Amun Ra, Iside, Hathor, datemi un figlio! Ho solo trentatré anni, non sono ancora così vecchia da mettere a rischio la gravidanza di un altro Tolomeo.

«Anche tu mi sei mancato» sussurrò. «Oh, è così bello!»

Vulnerabile, consumato dai dubbi, incerto sul futuro che lo aspettava a Roma, Antonio era un frutto maturo pronto a essere colto da Cleopatra e cadde spontaneamente nel palmo della sua mano. Era giunto a un’età in cui aveva un bisogno disperato di qualcosa di più di una semplice avventura sessuale con una donna; desiderava ardentemente avere una vera compagna, che non riusciva a trovare tra le sue amicizie femminili, né tra le sue amanti e, tanto meno, nella persona della sua moglie romana. Questa regina tra le donne, per meglio dire, questo re tra gli uomini, lo eguagliava sotto tutti gli aspetti: potere, forza, ambizione permeavano costei sino al midollo.

E lei, consapevole di tutto ciò, aveva aspettato il momento giusto per soddisfare i suoi desideri, che non erano né carnali né spirituali. Caio Fonteio, Poplicola, Sosio, Tizio e il giovane Marco Emilio Scauro erano tutti presenti ad Antiochia, ma questo nuovo Marco Antonio pareva quasi non accorgersi di loro così come di Gneo Domizio Enobarbo, quando arrivò. Il governatore della Bitinia, intrigante com’era, non poteva certo essere lasciato in disparte in quelle circostanze. Aveva sempre detestato Cleopatra e ciò che vide ad Antiochia non fece che rafforzare le sue convinzioni. Antonio era divenuto il suo schiavo.

«Non simile a un figlio con sua madre» disse Enobarbo a Fonteio, che percepiva come potenziale alleato, «ma come un cane con la sua padrona.» «Gli passerà» disse Fonteio, sicuro che Antonio l’avrebbe fatto. «È più vicino alla cinquantina che alla quarantina, è stato console, imperatore, triumviro… tutto tranne l’indiscusso primo uomo di Roma. E sin dalla sua gioventù passata nella cattiva compagnia di Curione e Clodio si è guadagnato la fama di gran donnaiolo, senza tuttavia mai cedere l’essenza di sé ad alcuna femmina. Quei tempi ormai sono finiti, e da qui Cleopatra. Affronta la realtà, Enobarbo! È la donna più potente del mondo ed è favolosamente ricca. Lui deve averla, e deve preservarla da tutti gli altri pretendenti.» «Cacat!» sbottò l’intollerante. «È lei che lo comanda, non il contrario! Si è rammollito come un budino andato a male!» «Una volta lontano da Antiochia e di nuovo in campo, ritornerà a essere il Marco Antonio che conosciamo» lo confortò Fonteio, sicurissimo di essere nel giusto.

Con grande sorpresa di Cleopatra, quando Antonio disse a Cesarione che era tempo di tornare ad Alessandria per regnarvi come re e faraone, il ragazzo andò senza la minima protesta. Non aveva passato tutto il tempo che avrebbe voluto in compagnia di Antonio, però erano riusciti a lasciare Antiochia diverse volte, uscendo a cavallo da soli e avevano dedicato una giornata alla caccia di leoni e lupi, i quali svernavano in Siria prima di fare ritorno alle steppe della Scizia. Cesarione non era tipo da lasciarsi prendere in giro.

«Non sono un idiota, sai?» disse ad Antonio dopo aver ucciso la prima preda, un leone.

«Che vuoi dire?» chiese Antonio, allarmato.

«Questa è una regione abitata, troppo popolosa per i leoni. L’hai fatto portare qui da una zona selvaggia per divertirci a cacciare.» «Sei un mostro, Cesarione.» «Gorgone o ciclope?» «Una razza completamente nuova.» Le ultime parole di Antonio mentre Cesarione si preparava a partire per l’Egitto furono più serie. «Quando tua madre tornerà» gli disse, «assicurati di esserle più obbediente di adesso. Al momento tu non tieni in alcun conto le sue opinioni e i suoi desideri. In questo hai preso da tuo padre. Ma quello che ti manca di lui è la sua percezione della realtà, che lui aveva compreso essere qualcosa al di fuori di se stesso. Coltiva questa qualità, giovane Cesare, e quando diventerai grande nulla potrà fermarti.» Quanto a me, pensò Antonio, sarò troppo vecchio per occuparmi di ciò che vorrai fare della tua vita. Tuttavia penso di essere stato più padre verso di te che non verso i miei stessi figli. E poi, tua madre significa moltissimo per me, e tu sei al centro del suo mondo.

Cleopatra aspettò cinque nundinae prima di colpire. Per allora tutti i re e i potentati di fresca nomina avevano fatto visita ad Antiochia per rendere i loro omaggi ad Antonio. Ma non a lei. Chi era, dopotutto, se non un’altra monarca ospite? Aminta, Polemone, Pitodoro, Tarcondimoto, Archelao Sisene e, naturalmente, Erode. Molto pieno di sé!

Iniziò con Erode: «Non mi ha ripagato il credito che mi deve, né la parte che mi spetta dei ricavi sui balsami» disse ad Antonio.

«Non ero al corrente che ti dovesse del danaro o ricavi sui balsami.» «Certo, mi è debitore! Gli prestai cento talenti per rivolgersi alla magistratura di Roma. Il balsamo faceva parte del rimborso.» «Glielo ricorderò inviandogli una lettera per corriere domani.» «Ricordare? Niente affatto! Non ha dimenticato, semplicemente non intende onorare i suoi debiti. Però c’è un modo per ottenere il pagamento.» «Davvero? Quale?» chiese Antonio, con cautela.

«Cedimi i giardini balsamici di Gerico e le riserve di bitume della Palus Asphaltites. Gratis e liberi, tutto per me.» «Per Giove! Questo equivarrebbe a metà delle tasse dell’intero regno di Erode!

Amore mio, lascia perdere Erode e i suoi balsami.» «No e poi no! Io non ho bisogno di quei soldi, lui sì, questo è vero, ma non si merita di lasciarlo perdere. È un grasso pigrone!» Il pensiero di un momento lo divertì; gli occhi di Antonio iniziarono a brillare.

«C’è qualcos’altro che mi vuoi domandare, passerotto mio?» «Piena sovranità su Cipro, che è da sempre appartenuta all’Egitto fino a che Catone la annesse a Roma. La Cirenaica, altro possedimento egizio sottratto da Roma. La Cilicia Tracheia. Il tratto di costa siriana fino al fiume Eleutherus: è appartenuto quasi sempre all’Egitto. Chalcis. In effetti, l’intera Siria meridionale mi andrebbe benissimo, quindi faresti meglio a cedermi l’intera Giudea. Creta farebbe al caso mio, e anche Rodi.» Antonio sedette a bocca aperta e con i piccoli occhi spalancati, non sapendo bene se scoppiare a ridere o reagire con indignazione. Infine, disse: «Stai scherzando».

«Scherzando? Scherzando? Chi sono dunque i tuoi nuovi alleati, Antonio? I tuoi alleati, non di Roma! Hai regalato quasi tutta l’Anatolia e buona parte della Siria a un mucchio di canaglie, traditori e briganti! Di fatto, Tarcondimoto è un brigante! A chi hai consegnato le Porte della Siria e l’intera Amanus! Hai consegnato la Cappadocia quale controdote del figlio della tua amante, e hai dato la Galatia a uno scrivano qualsiasi! Hai dato in sposa tua figlia, di sangue giuliano sia da parte di padre sia di madre, a un sudicio usuraio greco asiatico! Hai posto un liberto al governo di Cipro!

Oh, quanta gloria hai profuso ovunque a un tale meraviglioso manipolo di alleati!» Stava facendo ribollire la propria ira con precisione magistrale, gli occhi accesi da un bagliore da felino, le labbra rivoltate e il viso come una maschera di pura velenosità.

«E dov’è l’Egitto in tutte queste brillanti decisioni?» sibilò. «Dimenticato! Neppure menzionato! Che risate si farà Tarcondimoto, per esempio! Quanto a Erode… quel rospo viscido, quel figlio avido di una coppia di nullità rose dalla cupidigia!» Dov’era la furia di Antonio? Dov’era il suo strumento più fidato, quel martello con cui aveva schiacciato le pretese di avversari più potenti di Cleopatra? Neppure un barlume dell’usuale fuoco che ardeva nelle sue vene, ghiacciato dal suo sguardo penetrante da Medusa. Per quanto fosse confuso e frastornato, in lui c’era ancora una vena di astuzia.

«Mi hai ferito nel profondo del cuore!» ansimò, le mani protese ad afferrare vanamente il vuoto. «Non intendevo insultarti!» Lei consentì alla sua rabbia apparente di acquietarsi, ma senza lasciar spazio alla misericordia. «Oh, io lo so cosa devo fare per ottenere i territori che rivendico» disse in tono colloquiale. «I tuoi favoriti hanno avuto le loro terre gratis, ma l’Egitto deve pagare. Quanti talenti d’oro vale la Cilicia Tracheia? Il balsamo e il bitume sono debiti, mi rifiuto di pagarli. Ma Chalcis? La Fenicia? La Filisteia? Cipro? La Cirenaica? Creta? Rodi? La Giudea? Le casse del mio tesoro traboccano d’oro, mio caro Antonio, come tu ben sai. Queste erano le tue intenzioni sin dall’inizio, non è così? Far pagare all’Egitto migliaia e migliaia di talenti d’oro per ciascun plethron di terra! Quello che altri indegni tirapiedi hanno ottenuto per nulla, l’Egitto dovrà acquistarlo! Ipocrita! Meschino, miserabile truffatore!» Antonio scoppiò a piangere; uno stratagemma politico sempre valido.

«Oh, smetti di piangere!» reagì lei, gettandogli un tovagliolo come un riccone avrebbe lanciato un centesimo a qualcuno che gli avesse appena reso un enorme servigio. «Asciugati gli occhi! È il momento di mettersi a trattare.» «Non pensavo che l’Egitto ambisse a nuovi territori» disse lui, privo di argomenti sensati.

«Ah, davvero? E cosa ti ha portato a questa supposizione?» Il dolore stava cominciando: capì che lei non lo amava affatto. «L’Egitto è talmente autosufficiente.» Con gli occhi ancora bagnati di pianto la fissava. Pensa, Antonio, pensa! «Cosa te ne faresti della Cilicia Tracheia? E di Creta? E di Rodi? E persino della Cirenaica? Tu governi un paese che incontra grandi difficoltà nel mantenere un esercito capace di difendere i suoi confini.» Parlare lo aiutava a stagnare il flusso delle sue lacrime e a darsi un contegno. Ma non lo aiutava a riconquistare la propria autostima, persa senza rimedio.

«Aggiungerei queste nuove terre al regno che erediterà mio figlio, il quale le userebbe come terreno per fare pratica. Le leggi d’Egitto sono scritte sulla pietra, ma altri luoghi reclamano di essere governati da mani più sagge, e Cesarione sarà il più saggio tra i saggi» disse lei.

Come rispondere a questa affermazione? «Cleopatra, Cipro riesco ad ammetterlo.

Hai assolutamente ragione, è sempre appartenuta all’Egitto. Cesare te la restituì, ma quando morì, Cipro ritornò sotto il dominio di Roma. Sarei felicissimo di cederti Cipro. Infatti ne avevo tutte le intenzioni, non ti sei accorta che l’ho esclusa da tutte le altre mie concessioni?» «Generoso da parte tua» disse lei, caustica. «E la Cirenaica?» «La Cirenaica fa parte delle riserve di grano di Roma. Non se ne parla neppure.» «Mi rifiuto di tornarmene in Egitto con meno di quanto hai concesso ai tuoi ruffiani e leccapiedi!» «Non sono ruffiani e leccapiedi, sono persone perbene.» «Quanto vuoi per la Fenicia e la Filisteia?» Ed eccola, l’avida meretrice! Quando Antonio aveva capito che per avere i quarantamila talenti d’argento promessigli da Sesto Pompeo avrebbero potuto passare anni, si era preoccupato molto. Mentre ora, qui, seduta di fronte a lui, c’era la regina d’Egitto, pronta e in grado di pagare subito. Lei non lo amava nemmeno un po’, quale dolore! Ma avrebbe potuto fornirgli subito quel suo possente esercito. Bene, la sua mente ora ragionava meglio. «Lasciamo da parte i pagamenti: tu pretendi sovranità completa e tutti i profitti. Con il passare del tempo, centomila talenti d’oro ciascuna. Ma io voglio un pagamento anticipato dell’uno per cento. Mille talenti d’oro per ciascun territorio: la Fenicia, la Filisteia, la Cilicia Pedias, Chalcis, Emesa, il fiume Eleutherus e Cipro. No a Creta, alla Cirenaica e alla Giudea. Balsami e bitume gratis.» «Un totale di settemila talenti d’oro.» Cleopatra si stiracchiò ed emise un flebile suono simile alle fusa di una gatta. «Affare fatto, Antonio.» «Voglio quei settemila adesso, Cleopatra.» «In cambio di scritture pubbliche ufficiali, firmate da te e con il tuo sigillo in funzione di triumviro responsabile dell’Oriente.» «Quando avrò l’oro, e dopo averlo contato, avrai i tuoi documenti, con affisso il sigillo di Roma, più il mio sigillo da triumviro. Anzi, aggiungerò anche il mio sigillo personale.» «Benissimo. Farò partire un corriere veloce per Menfi domani mattina.» «Menfi?» «È la via più rapida, credimi.» A questo punto, non restava loro altro da fare. Lei era riuscita a ottenere tutto il possibile, e molto di più di ciò che aveva sperato; lui avrebbe avuto bisogno disperatamente della forza e dei consigli di lei e non aveva avuto nulla. Il legame fisico era fragile e quello mentale inesistente. Passò un momento che sembrava infinito, mentre i loro sguardi erano fissi l’uno sull’altra senza scambiarsi parole. Poi Antonio sospirò.

«Tu non mi ami affatto» disse, «sei venuta ad Antiochia come qualsiasi altra donna; a fare acquisti.» «È vero che sono venuta per avere la parte del bottino che spetta a Cesarione» rispose Cleopatra, con gli occhi ritornati abbastanza umani da sembrare tristi.

«Tuttavia, ti devo amare. Altrimenti, avrei perseguito i miei scopi con tutt’altri mezzi.

Non te ne sei accorto, ma ti ho risparmiato.» «Che gli dèi mi preservino se non mi avessi risparmiato!» «Oh, hai pianto, che per te significa essere privato della virilità. Ma nessuno può farti questo, Antonio, tranne te stesso. Fino a quando Cesarione non sarà cresciuto (cioè per almeno altri dieci anni) l’Egitto ha bisogno di un re consorte, e ho in mente solo un uomo. Marco Antonio. Non sei uno smidollato, ma ti manca uno scopo. Lo capisco chiaramente come deve averlo capito Fonteio.» Lui s’accigliò. «Fonteio? Hai forse avuto uno scambio di impressioni con lui?» «Niente affatto. Semplicemente ho percepito che era preoccupato per te e ora ne capisco il motivo. Non ami Roma come l’amava Cesare, e il tuo rivale romano è più giovane di te di oltre vent’anni. A meno che muoia, egli ti sopravvivrà e non vedo perché Ottaviano debba morire giovane, nonostante la sua asma. Assassinio? Una risposta ideale, se potesse realizzarsi, ma così non è. Tra Agrippa e le guardie germaniche è invulnerabile. Ottaviano che destituisce i propri littori come fece Cesare? No, se gli venisse offerta la testa di Sesto Pompeo su un vassoio d’argento!

Se tu fossi più anziano, con te sarebbe più facile, ma ventisei anni non bastano, sebbene siano tanti. Ottaviano quest’anno compirà credo ventisei anni. Le mie spie mi dicono che ora è più virile, dopo aver superato il pudore adolescenziale. Tu hai quarantasei anni, e io ne ho trentadue. Io e te abbiamo un’età più congeniale e con te farei in modo che l’Egitto riconquisti la sua antica potenza. Al contrario del regno dei Parti, l’Egitto si affaccia su quello che chiamate Mare Nostrum. Con te al mio fianco, Antonio, pensa a quello che potremmo fare nei prossimi dieci anni!» Era fattibile ciò che lei gli stava prospettando? Non era una cosa da romani, ma Roma tendeva a eludere la sua stretta, come spire di fumo nell’aria profumata d’Oriente. Sì, certo, Antonio era sconcertato, ma non al punto di non comprendere quello che Cleopatra gli proponeva e le questioni in gioco. La sua presa su coloro che a Roma gli erano rimasti fedeli stava cedendo; Pollione se n’era andato, e così Ventidio, Sallustio e tutti i grandi marescialli, eccetto Enobarbo. Per quanto tempo ancora avrebbe potuto contare sui suoi settecento clienti del Senato, se non avesse reso loro visita a Roma a intervalli abbastanza frequenti? Ne valeva la pena? Avrebbe potuto imbarcarsi in un’altra impresa, se Cleopatra non lo avesse amato? Non essendo un uomo razionale, non riusciva a comprendere come lei l’avesse trasformato; sapeva solo che lui l’amava. Sin dal giorno in cui era arrivata ad Antiochia, aveva perso, e questo era un mistero la cui soluzione andava al di là delle sue capacità di comprensione.

Cleopatra parlò di nuovo: «Con Sesto Pompeo da sconfiggere, passeranno anni prima che Ottaviano e Roma siano in condizioni di valutare ciò che starà accadendo in Oriente. Il Senato è un’arena di vecchie galline starnazzanti, incapaci di strappare il potere dalle mani di Ottaviano, o dalle tue. A Lepido non do importanza».

Scese furtivamente dal suo giaciglio per avvicinarsi a lui, posando una guancia sul suo avambraccio muscoloso. «Non intendo sollevare una sedizione, Antonio» disse in tono dolce e mellifluo. «Lungi da me. Ciò che voglio dire è che insieme a me potrai rendere l’Oriente un posto migliore e più forte. Come può questo essere offensivo per Roma o sminuire il suo potere? Al contrario. Per esempio, impedirebbe l’ascesa di un altro Mitridate o Tigrane.» «Sarei pronto a divenire il tuo consorte in un batter d’occhio, Cleopatra, se solo credessi sinceramente che una parte di tutto ciò sia per me e per causa mia. O tutte le briciole spetteranno solo a Cesarione?» le chiese, mentre le sue labbra scorrevano sulle spalle di lei. «Ultimamente sono giunto alla conclusione che prima di morire, voglio stare ritto in piedi sotto il sole come un colosso, senza alcuno che mi faccia ombra! Né l’ombra di Roma, né quella di Cesarione. Voglio che la mia vita finisca come Marco Antonio, né romano né egiziano. Voglio essere un’entità singola. Voglio essere Antonio il Grande. E tu non mi stai offrendo questo.» «Ma io te ne offro l’opportunità! Non puoi essere egiziano, questo è scontato. Se sei romano, solo tu puoi decidere di non esserlo più. È solo una pelle, che si può cambiare facilmente come fanno i serpenti.» La sua bocca premeva su una guancia di Antonio. «Antonio, io ti capisco! Tu aneli a essere più grande di Giulio Cesare, il che significa conquistare nuovi mondi. Ma sbagli a vedere questi nuovi mondi nel regno dei Parti. Volgi il tuo sguardo a Occidente, non verso il lontano Oriente! Cesare non conquistò mai veramente Roma, egli ne fu succube. Antonio può conseguire l’appellativo Grande solamente conquistando Roma.»

Questo fu solo il primo scambio di una lunga battaglia che doveva durare fino a marzo, nella primavera di Antiochia. Una lotta titanica che si svolse nell’oscurità del groviglio delle loro emozioni e nel silenzio dei dubbi e delle diffidenze inespresse. La segretezza era urgente e totale; se Enobarbo, Poplicola, Fonteio, Furnio, Sosio o qualunque altro romano presente ad Antiochia avesse sospettato che Antonio stava per vendere in perpetuo e senza pagare tributi ciò che apparteneva per sempre a Roma ed era semplicemente concesso in uso a re locali in cambio di tributi, allora ci sarebbe stato uno sconvolgimento di tali dimensioni che Antonio stesso si sarebbe ritrovato incatenato e rispedito a Roma. I territori ceduti a Cleopatra dovevano sembrare puramente ceduti in concessione fino a quando la base di potere di Antonio fosse stata maggiore. Così, ciò che fu reso pubblico in un senso era noto solo ad Antonio e Cleopatra in tutt’altro senso. Le concessioni, per quanto riguardava i colleghi romani di Antonio, dovevano sembrare fatti amministrativi ordinari per ottenere l’oro necessario a finanziare l’esercito. Dal momento che Antonio non era soggiogabile a Oriente, non aveva più importanza ciò che si sapeva. Cleopatra aveva cercato di persuadere Cesare a proclamarsi re di Roma, e aveva fallito. La sostanza di Antonio era più malleabile, specialmente nel suo attuale stato d’animo, e l’Oriente aveva estrema necessità di un re forte. Chi meglio di un romano, esperto in legge e capacità di governo, non dedito a capricci o bagordi micidiali? Antonio il Grande avrebbe saputo forgiare l’Oriente in un’entità formidabile capace di rivaleggiare con Roma per la supremazia del mondo. Questo sognava Cleopatra, sapendo benissimo di avere ancora molta strada da fare, e altra ancora prima di poter schiacciare Antonio il Grande a favore di Cesarione, re dei re.

Antonio riuscì a raggirare i suoi colleghi. Enobarbo e Poplicola sottoscrissero come testimoni i documenti per Cleopatra senza leggerne i contenuti e ridacchiarono della sua dabbenaggine. Quanto oro!

Ma Antonio non poteva confidare ad alcuno il peggiore dei suoi conflitti. La regina era fermamente contraria alla campagna contro i Parti e lesinava il suo oro per finanziarla. Era terrorizzata al pensiero dell’esercito orribilmente ridimensionato a causa degli attacchi dei Parti e troppo risicato per fare ciò che lei aveva in mente: dichiarare guerra a Roma e a Ottaviano. Piani che solo in parte aveva rivelato ad Antonio, ma costantemente presenti nel suo pensiero. Cesarione doveva regnare sul mondo di Cesare così come in Egitto e in Oriente, e nulla, compreso Marco Antonio, doveva fermarlo.

Antonio apprese con terrore l’intenzione di Cleopatra di marciare al suo fianco durante la campagna; non solo, ma voleva avere la maggior voce in capitolo nei consigli di guerra. Canidio stava attendendo a Carana dopo un’avanzata vittoriosa a nord, nel Caucaso, e Cleopatra continuava a ripetere di essere ansiosa di incontrarlo.

Nonostante tutti i suoi tentativi, Antonio non riuscì a convincerla a desistere in quanto male accetta dai suoi legati, che non avrebbero tollerato la sua presenza.

Così, nello spazio di un nundinum, Antonio si sbarazzò degli uomini più inclini a ribellarsi alla presenza di lei. Inviò Poplicola a Roma a galvanizzare i suoi settecento senatori e Furnio a governare la Provincia d’Asia. Enobarbo ritornò a capo della Bitinia e Sosio venne riconfermato in Siria.

Poi il più naturale e inevitabile degli eventi venne in suo soccorso: una gravidanza.

Ebbro dal sollievo, poté comunicare ai legati che la regina avrebbe viaggiato insieme alle legioni solo fino a Zeugma sull’Eufrate, poi avrebbe fatto ritorno in Egitto.

Confortati e ammirati, i legati pensarono che l’amore della regina per Antonio era talmente grande da renderle quasi impossibile separarsi da lui.

Fu così che Cleopatra, molto soddisfatta, salutò Marco Antonio con un bacio a Zeugma e iniziò la lunga traversata nel deserto verso il suo Egitto; sebbene avrebbe potuto tornare via mare, aveva un buon motivo per non farlo. Quel motivo si chiamava Erode, re dei giudei. Quando egli seppe della perdita dei balsami e del bitume, aveva cavalcato al galoppo da Gerusalemme fino ad Antiochia, ma quando vide Cleopatra sedere al fianco di Antonio nella sala delle udienze girò sui tacchi e fece ritorno a casa. Un’azione che rivelò a Cleopatra che Erode avrebbe preferito aspettare di incontrare Antonio a tu per tu. Significava anche che Erode aveva capito la situazione, al contrario dei romani: lei dominava il triumviro incaricato dell’Oriente, come argilla nelle sue mani indaffarate e intriganti.

Tuttavia, nonostante ciò che sentiva dentro di sé, Erode non ebbe altra scelta che dare il benvenuto alla regina d’Egitto nella sua capitale e ospitarla regalmente nel suo nuovo palazzo, un edificio sontuoso.

«In effetti, vedo che si costruiscono nuovi fabbricati un po’ dovunque» disse Cleopatra al suo ospite a cena, pensando tra sé e sé che il cibo era disgustoso e la regina Mariamne fosse una donna noiosissima. Però fertile: già due figli. «Uno di questi edifici assomiglia a una fortezza.» «Oh, lo è!» disse Erode, per nulla infastidito. «La chiamerò Antonia, in onore del nostro triumviro. Sto anche facendo costruire un nuovo tempio.» «E anche altre nuove costruzioni a Masada, ho sentito.» «È stato un crudele luogo di esilio per la mia famiglia, ma un posto utile. Sto migliorando l’abitabilità, altri granai, stanze da pranzo e cisterne d’acqua.» «Peccato che non potrò vederla. La strada costiera è più agevole.» «Specialmente per una donna che aspetta un bambino.» Fece un cenno di commiato verso Mariamne, che si alzò e uscì subito dalla stanza.

«Avete lo sguardo acuto, Erode.»

«E voi un insaziabile appetito di territori, secondo i miei rapporti da Antiochia. La Cilicia Tracheia! A cosa vi serve quel tratto roccioso di costa?» «Tra le altre cose, per restituire Olba alla regina Aba e alla stirpe dei teucridi. Però non ho avuto solo la città.» «La Seleucia Cilicia è troppo importante per i romani da un punto di vista strategico, mia cara e ambiziosa regina. A proposito, non posso darvi il ricavato dei balsami e del bitume. Mi serve troppo.» «Posseggo già sia i balsami sia il bitume, Erode, e qui» disse, estraendo un documento da una borsa ingioiellata fatta di una rete d’oro, «ci sono le istruzioni di Marco Antonio che vi ordina di esigere le tasse per mio conto.» «Antonio non mi farebbe mai nulla di simile!» strillò Erode mentre leggeva.

«Lo farebbe, e lo ha fatto. Per quanto sia stata una mia idea quella di farvi eseguire la raccolta delle tasse. Avreste dovuto pagare i vostri debiti, Erode.» «Vi sopravvivrò, Cleopatra!» «Sciocchezze. Siete troppo avido e grasso. Gli uomini grassi muoiono presto.» «Mentre le donne magre vivono per sempre, vorreste dire? Non nel vostro caso, regina. La mia cupidigia è nulla paragonata alla vostra. Non sarete soddisfatta fino a quando non avrete il mondo intero. Ma Antonio non è l’uomo che vi aiuterà. Sta perdendo la presa su quella parte del mondo che possiede già, non ve ne siete accorta?» «Bah!» sentenziò Cleopatra. «Se intendete la campagna contro il re dei Parti, si tratta semplicemente di qualcosa di cui deve liberarsi prima di rivolgere le sue energie verso obiettivi più ragionevoli.» «Obiettivi che voi avete individuato per lui?» «Che sciocchezza! È abbastanza scaltro per vederli da solo.» Erode si lasciò cadere all’indietro sul suo giaciglio e intrecciò le dita tozze e inanellate sulla pancia. «Da quanto tempo avete studiato il piano che io credo abbiate in mente?» Gli occhi dorati si allargarono, fissandolo in modo insincero. «Erode! Io, un piano?

La vostra immaginazione è fervida. State per delirare. Che piano potrei avere studiato?» «Mentre Antonio, con un anello infilato al naso, porta a spasso un gran numero di legioni, mia cara Cleopatra, penso che voi intendiate rovesciare Roma a favore dell’Egitto. Quale momento migliore per colpire, quando Ottaviano è debole e le province occidentali abbisognano dei suoi uomini migliori? Non vi sono limiti alle vostre ambizioni, ai vostri desideri. Ciò che mi lascia sbigottito è che nessuno sembra essersi accorto dei vostri disegni tranne me. Povero Antonio, quando lo farà!» «Se siete saggio, Erode, terrete per voi le vostre speculazioni, senza che trabocchino dalla punta della vostra lingua. È una pazzia, priva di fondamento.» «Datemi i balsami e il bitume, e starò zitto.» Cleopatra scivolò fuori del suo giaciglio e si infilò le pantofole aperte sul retro.

«Non vi lascerei neppure annusare un cencio sporco di sudore, uomo abominevole!» Detto ciò uscì dalla stanza, trascinando i drappeggi del suo abito con un suono sibilante simile a una dolce voce crudele che sussurrava parole magiche.